Scritti
Industria cinematografica
L’alto capitale, padre e patricida di tutto, ha scelto per le sue case di produzione a scopo di lucro di strutturare i film con il linguaggio della prosa, questa convenzione narrativa che impedisce la versificazione poetica, e i momenti espressivi propri dell’arte quali espressionismo, impressionismo, iperrealismo ed altro. Questo perché, nella logica del capitale e della sua politica maggioritaria, lo spettatore medio, anche se colto e benestante, non debba troppo impegnarsi e riconosca il cliché già incontrato e sperimenti l’esaltazione della merce: e questo “cinema”, scaltro e codificato, lo illuderà di essere sensibile e intelligente. Un esercizio gradito alla viltà della cultura medio-piccolo borghese. La pesantezza del senso comune. La compiacenza verso il gusto artificiosamente corrente, indotto.
Il “cinema dell’attore” con il mattatorismo ed esteriorità. Nell’arte il protagonista è lo stile. L’autore con atteggiamenti estetici tendenti all’accumulo.
Molti non troverebbero ascolto in una società razionale e profonda.
Non si possono fare opere per se stessi o per il pubblico, somma categoria merceologica. Opere fuori del reale antagonismo per essere condivise in tutte le circoscrizioni. E questo in nome del “nuovo”, ovvero del valore unificante del mercato.
Questa Accademia è autocompiacimento e compiacimento verso l’esterno.
Il simulacro vicario e degradato di ogni vera cultura. Simulante. Prodotto meccanizzato, sintetico e sostitutivo che concede alle masse con metodologia la facile accessibilità dei contenuti. Lusinga dell’ immediata assimilazione, accantonando la fatica della concentrazione, della comprensione. Pedantescamente. Effimero contro merito. Niente incentivi al progresso.
Tutto in regressione.
Quindi, le regole imposte dal cinema industriale appartengono a questa istituzione, la quale si pretende depositaria dell’umano, e sempre incerta tra gagliofferia e perbenismo. Una borghesia ripiegata in se stessa, sociologicamente parassitaria , universalmente indeterminata, bloccata nei suoi rapporti di potere e di rappresentanza, che si dissocia dai bisogni più profondi del proprio essere, dai sentimenti di fragilità vissuti come minaccia per le proprie finalità autoaffermatorie di successo e potenza. L’ideologia individualista del successo, basata sulla deregolata legge del più forte. Non credere nella sincerità, in quelli che si svelano. Ed ecco le buone maniere, la liturgia, le ragioni sociali e la mondanità. Inseguendo sogni provinciali si rinuncia all’autentico. Quando studiare, lavorare, vedere arte, è strumentale al consumare. La finanza non ha interesse di sviluppare in una persona le virtù quanto piuttosto i difetti. Preda del falso sé che corre dietro gli spettri dell’avere, del successo esteriore e dell’acclamazione altrui. Sperimentando la rinuncia alla conoscenza della bontà e della dignità intrinseche alla natura umana. Rappresentando un’esistenza apparentemente socializzata, ma realmente solitaria, in quanto priva di reali valori. Quindi narcisisticamente devota a questo cinema riduttivo come fuga da una realtà contro cui non si vuole agire. Il consumo, come il sesso, non vuole pensieri. Una deformazione delle menti prodotta da questo sviluppo. L’incubo della uniformità ad ogni costo, l’ossessione di ridursi ad un solo modello: il consumatore totale. Uno stile per tutti.
La scienza ha generato un divario crescente tra la conoscenza delle persone medie e quella delle élites dominanti. Con la biologia, la neurobiologia e la psicologia applicata ha goduto d’una conoscenza avanzata dell’essere umano. La plutocrazia conosce l’individuo più di quanto l’individuo si conosca, ed esercita un controllo nei suoi confronti maggiore di quello che lo stesso individuo eserciti nei confronti di se stesso.
La qualità dell’istruzione data alle classi sociali inferiori deve essere mediocre, in modo che la distanza con le classi superiori sia difficile da colmare. L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione. Deviare l’attenzione dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche attraverso continue distrazioni ed informazioni insignificanti, negando al pubblico le conoscenze essenziali nella scienza, l’economia, la psicologia. Fondare l’idea che sia di tendenza l’essere frivoli ed ignoranti.
Il profitto non ha interesse ad usare l’intelligenza o “il bello”, ma solo il facilmente commerciabile, banalizzando tutto: la violenza, l’amore. Niente libertà espressiva. Mutuando il linguaggio d’immagine dalle realtà pubblicitarie. Non vere energie creative. Sviluppare solo emozioni, aumentando conseguentemente l’egocentrismo e la tendenza per le attività sensazionali e fisiche, dando solo quello che si desidera in eccesso e privando di ciò di cui si ha realmente bisogno. Avvalersi dell’aspetto emotivo molto più della riflessione è una tecnica per annullare l’analisi razionale e il senso critico. Il registro emotivo apre la porta d’accesso all’inconscio per impiantarvi idee, desideri, paure, compulsioni ed indurre a comportamenti. Usare la debolezza. Riescono a mutare il comportamento naturalmente umano creando bisogni artificiosi. Non si pensa al benessere vero delle persone. Si esclude l’umanità nella sua complessità ed integrità.
L’industria dell’intrattenimento crea la mercificazione del tempo libero.
Il “popolo” è rimasto vittima della degenerazione del fenomeno televisivo e dei media, che ha inoculato nel suo sangue il veleno della banalizzazione, della violenza morale dell’individualismo narciso nell’indisponibilità agli altri, della violenza sociale delle regole stabilite e fondate sul possesso e sul denaro. Per il gusto dominante non vi è posto per l’etica che mira al bene comune. Ma il senso del limite è parte dell’etica e dell’elaborazione intellettuale. E il popolo non esiste più, non è la categoria sociale concepita da Gramsci. Si è trasformato in massa indifferenziata, omologandosi in piccola borghesia, disimpegnata e passiva.
Gente obbligata al divertimento, alle regole del successo, ai flussi d’eccitazione sterile, che con azioni ossessive senza alto scopo, inseguendo sogni provinciali rinuncia all’autenticità. Metodicamente portatrice di distruzione. La de-realizzazione italiana: con il disordine, la frammentazione, la loquacità folle, profluvi di aggettivi, insensatezze che sottintendono complicità, inviti al consenso, giudizi senza appello, perdita di senso, antenne, commercio, autorità, la collettiva pulsione nell’assuefazione al caos, in cui il delirio televisivo è il solo linguaggio. Cervelli spariti, menti offuscate che non vedono niente, non distinguono, senza itinerario e ricordi. La degenerazione della fede religiosa in superstizione spettacolare, l’aggressività di un giornalismo cannibale, il suicidio dell’intellettualità, l’aridità dell’amore.
Questa logica pervade i creativi, i critici e il pubblico, con la funzione di omologare. Questa è la Grande Ideologia, nuovo reale fascismo.
L’ansia di uguaglianza nella degradazione consumistica. Il profitto, come uno Stato totalitario, censura il nuovo, inibisce, produce solo quel che è nei suoi interessi senza rispetto delle differenze. Massifica le persone. È grazie alla loro ignavia che ogni criminale politico-sociale ha da sempre potuto perpetrare le sue infamie.
Una vera arte può far guadagnare “denari” , ma i denari non possono creare arte. Al contrario distruggono. Il senso del limite è parte dell’elaborazione intellettuale propria dell’arte.
Ritrovare la dignità.
A questo assedio paramilitare ci si deve opporre rompendo il tradizionale ciclo produzione-consumo e arte-merce facendo opere che siano estremistiche ed inaccettabili per il sistema, con il coraggio dell’impopolarità nell’Italia del karaoke e dei neo-fascisti al potere. Scardinando le proprie strutture mentali, riflesso d’un sistema sociale ingiusto ed errato, ed arrivando ad una libertà espressiva naturale, massimale, che usa tutte le risorse dell’immagine, del suono, del montaggio. Con una cura della composizione. Il grado d’intensità prende la forma e il contenuto e al contenuto si deve rispetto e attenzione (ma l’uomo medio, di fronte alla violenza espressiva, oppone il moralismo nei confronti della forma). I tempi saranno giustamente lenti, allusivi, anti-dichiaratori nel rifiuto d’ogni retorica. Procedendo per ellissi, stilizzando l’ambientazione, lavorando sul non detto. Il sentimento e i giudizi vanno resi immagini. Il compito dell’arte è quello di interpretare, non di riprodurre. Trascendendo la storia è metastorico.
Arte cinematografica
Come poca erba bruciata giallissima d’estate, forse tra blocchi in travertino. Odore nullo e totale, stordente. Le serre industriali, lontane.
Sento il cavalletto come rigido. La macchina a mano imprime alla ripresa quel sottile movimento. La presenza dell’autore-testimone che “si fa sentire”. Un cine-reporter capitato per caso, anche in tempi lontanissimi della storia.
L’autore-regista dovrebbe “naturalmente” essere l’operatore alla macchina delle sue opere. Il delegare ad un estraneo è invenzione dell’apparato organizzativo del cinema di produzione, sempre impersonale. Così come soggetto, sceneggiatura, regia e montaggio e tutto quel che è l’opera dovrebbero appartenere ed uscire ad un autore.
Non attori ma tipologie, impedendo che il relativo (la capacità dell’attore) abbia la supremazia sul generale (i personaggi del mito); che il soggettivo e l’individuale entrino in conflitto con la dimensione astorica e lontana dello stesso mito. Ragioni analoghe, sono alla base dell’adozione della maschera in molte culture teatrali. Recitazione sottotono. Sperando in imbambolamenti davanti alla cinepresa che restituiscano espressioni insperate, nuove. Un Re che non ha gestica di re, un vescovo senza la sua mimica. Più vero.
I costumi li preferisco larghi o stretti, fuori misura. I personaggi come pagliacci od obbligati alle scomodità, conseguenza delle loro scelte politico- sociali. Costumi unti, polverosi, lacerati.
Musiche. L’arte cinematografica è icastica, esprime prevalentemente immagine. Ma la musica le consegna profondità. Con discrezione. Dischi di musica sacra graffiati, polverosi, quanto quel che devono commentare. Rumori elettrici, acqua nei tubi, tutto riverberato, epico.
Ricostruire in teatro di posa. Anche le realtà esterne. Rendo tutto più stretto, asfissiato.
Doppiaggio. Perché quando si arriva al montaggio definitivo, un testo, recitato e filmato tempo prima, può non essere più idoneo all’impasto finale, alla nuova fisionomia che l’opera ha assunto rispetto alla sceneggiatura originale. Il tempo poi raffina i pensieri. Inoltre, la scelta di una voce “per contrasto”: una faccia da assassino parla come un mite ragioniere. E le voci non sempre corrispondono, per quel che l’autore necessita, ai corpi. La pronuncia labiale può risultare non perfettamente in sincrono, ma questo è secondario rispetto al vantaggio di avere quanto ho detto sopra.
Rifiutando quindi il tecnicismo-tecnocrazia, la subalternità ai materiali, preferendovi l’essenza, la freschezza. Asserviamo la tecnica al potere poetico di un’opera, liberandoci dalla sottomissione ai materiali.
Ed ecco la “tecnica” poetica, sempre nuova in ogni opera. Le mie luci “sfondano”, tanti “soli” giudicanti. Le voci fuori campo rimandano alla visione di individui soli e svuotati, ectoplasmi, non degni di possedere una sana carnalità.
Non molta azione perché sono tutti deceduti. Sono le fotografie dei morti. E contemplano le conseguenze delle loro azioni perpetrate nel passato. Se mai discorrono è per quel poco di eco che riconduce qualche antica loro parola. L’oscurantismo li ha resi tali, già quando apparentemente erano vivi. L’iperconsumismo continua ora il lavoro.
Le mie opere rimandano e restituiscono l'ossessione sotto-borghese per la morte. Nel senso in cui questa scadente ma imperante categoria sociale rifiuta della morte la Sua santità e naturalità, nella pretesa di continuare a trasformare il tutto in merce e a consumare per sempre.
Ma al tempo stesso e nelle stesse opere, la morte m'appare incondizionabilmente libera d'essere sinceramente umana, antica e modernissima nel suo sano stato di semplice altra madre terminale, che ricevendoci a nulla ci obbliga dell'empia, oscura, mentecatta, pseudo-cultura di noi civili contemporanei. Ab aeterno
Un’opera si dovrebbe creare in clandestinità, rifiutando il successo distribuito come mangime agli animali.
Un sano pauperismo che ci porti a non confondere lo stile con la tecnica, a rifiutare le magniloquenze. Lavorare per sottrazione.
Rifiutiamo l’idea massificante delle produzioni “istituzionali”. Un’arte opposta, frontale. La lavorazione dovrebbe essere minutamente artigianale, quasi un’inquadratura alla volta, con attenzione di pittore.
Io mi esprimo radicalmente. Nudità, ellissi, scarnificare per essenzializzare. Niente appelli sentimentali, slanci pietistici e trappole drammatiche. Le espressioni sotterranee, non appariscenti e sottili. Trasformare la vitale aggressività e la disillusione da rabbia narcisistica in sofferta scelta morale. Realizzando le proprie scelte assolute e non adattandosi ai limiti e difetti.
Arte significa profondità e originalità. Estetica che crea etica. Il non detto.
Usare la memoria come valore di uso. La memoria culturale inscritta nella storia, nella poetica, nella filosofia.
Fare arte è gesto eversivo in quanto si persegue quel che, secondo propria coscienza, è una verità. La quale si oppone più che naturalmente a tutto quel che si ritiene ingiusto, per cui non può esistere l’arte di qualunque sia potere.
Io sono profugo e vengo da un territorio arabo. Non ho nulla e nulla voglio da questo occidente.
Affresco - mosaico
Esprimersi con l’affresco: gli elementi tra loro sono in un rapporto organico e mai pretestuoso. Questa è la trama dell’affresco. Una serie di quadri susseguentisi per associazione d’idee, di temperature, per rapporto di contiguità e affinità di tipo logico. Una struttura agglomerativa che necessita d’una lettura rapsodica. Una narrazione liberamente disarticolata, oltre i limiti della prosa e del realismo, con un immaginario senza vincoli di sorta, che nega convenzioni e valori erroneamente consolidati.
Via Tripoli
Via Tripoli è una riserva elettorale per ogni destra. L’incontro tra il proletariato incosciente e la piccola borghesia ferina, entrambi creduloni nella contemplazione continua della merce, del possesso. Per anni li ho fotografati, filmati nascostamente e provocati. Le immagini vengono poi sceneggiate e montate, avvalendosi dell’ “espropriato”, che solo così mostrerà un individuo sinceramente vero. L’assenza prolungata di impegno non è umanamente naturale: genera nevrosi, straniamento, insensibilità, malinconia, cinismo. Il ripiegarsi in se stessi. Tutto questo mi ha ispirato la galleria fotografica titolata “Il corridoio condominiale”.
Il signor Giusti, dall’ultimo piano, vede e controlla. Se “ascolta” dei passi sulle terrazze, sale.
Il signor Della Casa teme i piccioni e li “sente” attraverso il soffitto.
La signora Maggio non fa mai nulla quando è il 17.
L’anziana signora Marano riesce a vedere condomini nudi anche se coperti.
L’amministratore caccia zingari. Ad ogni riunione aggiorna sulla
nuova cacciata, ma nella strada da tempo non ci sono più zingari.
R. Benigni
È un furbo per un villaggio di individui che si credono furbi. E a natale scenderà la neve e i bimbi canteranno. Con tanti denari.
In offerta agli Dei. “E’ giovane e bella! Non puoi dire di no.”
I personaggi li ho fatti esprimere nel modo di un ragioniere statale svogliato. I cattivi parlano con la voce dei padri di famiglia e, genericamente, delle persone “buone”.
È un epicedio. Il canto corale innanzi alle spoglie di una civiltà defunta.
Il niente. “Un vecchio povero s’accoppia con una ragazzetta perché lei è più povera di lui.”
Ho messo una luce costantemente dall’alto – un Dio? Non credo – Comunque qualcosa che inquadra ed inchioda al suolo delle responsabilità.
Il vecchio potere vecchio ubriaca e non offre altro che una scomoda cadente casa, dove potrà ingravidarti e partorirai tanti imbecilli che consumano.
Gabinetto .
In un gabinetto pubblico entra ed esce un’umanità di spettri
(Una giovane va allo specchio)
-Si, mi piaccio! Però voglio diventà anoressica, così tutti s’imparano.
(entra una nomade – voce di uomo: )
“Questa è una zingara bella … ma se è bella, perché non fa la valletta?”
(entra una prostituta) Voce di donna:
-Ma questa s’è messa a batte al gabinetto!
Voce di uomo: -Allora: pe’ strada no, al gabinetto nemmeno, che devono sta, per aria?
Voce di altro uomo: Per aria? Che bella cosa che ha detto!
-Lassù ci sono le correnti … liberatorie.
Nel regno italiano
-Ma vaffanculo!
-Vaffanculo te!
-Arivaffanculo!
-Te come prima!
-Perché se stamo a mannà affanculo?
-Boh!
-Cambia quarcosa?
-No!
-Allora vaffanculo!
Nella Città Santa
-Salve! Vorrei udienza dal Santo Padre. Non perché abbia qualcosa da dì, e son sicuro non ce l’hanno neanche l’altri, ma come l’altri solo per potè dì d’averla avuta …
Ivan Metallico’s day
-Perché ce l’avete sempre con la morte? Sono secoli che ce l’avete con la morte!
Famiglia Nazionalpopolare
-A papà, ma c’hai inchiodato, er culo de ‘sta modella der calendario?
-So stato educato così.