La Morte

 

 

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Testi dal lungometraggio - La Morte -

C’era una volta nel mio paese arabo, un portinaio, che ogni sera prima d’andare a dormire passeggiava intorno all’androne. E lo faceva sempre. Tutto intorno.


Una notte un povero entrò nel portone del collegio, addormentandosi dentro la cesta dei costumi del teatrino. Fu svegliato dalle prove per una rappresentazione sacra e pensò di essere morto, e di stare nel paradiso cattolico, ma dispiacendosi d’essere finito in una religione ricca. Poi vide un prete che attraversò la scena per affacciarsi ad una finestrella e parlare ad un’anziana meretrice in strada, dicendole: -Perché fai questo?

Meretrice: -E tu perché fai questo?

In ultimo il povero vide una scala, che serviva a pulire le statue del collegio … alte e potenti.

 

E quindi tutto comincia forse dal collegio, dove nel refettorio guardavo quel convittore che, bevendo dalla tazza, faceva colare il latte lungo il mento. E questo faceva senso, tanto. Eppure avrei voluto essere così piccolo da stare proprio nel suo mento, con tutto il latte che mi colava addosso. Poi vidi un vecchissimo frère che mi salutava, e quest’immagine mi apparve misteriosamente come la mia sessualità futura che già mi dava il benvenuto.

E anni dopo, strada facendo, vidi dal mio furgone una ragazzetta bella, che parlava con uno brutto che la corteggiava. Ma lei respingeva la sua corte, pur accettando un suo regalo. E allora pensai ad alcuni possibili diversi scenari. Nel primo lei si sente in obbligo per il regalo accettato  di baciarlo, e si baciano. Nella seconda scena lei gli dice che non si metterebbe mai con lui perché è brutto, e lei vuole un ragazzo bello. Nella terza possibilità lei si mette con lui e gli dice che lui è il ragazzo giusto per lei. Quest’ultima scena mi è piaciuta di più perché lui è proprio brutto e lei invece è tanto bella.

E mi ricordo quando, sempre dal furgone, avevo visto un’altra ragazzetta con delle calze appariscenti, le calze … E io le dissi: “Che belle calze!” Ma pensai ad un’altra scena, in cui dei ragazzetti le dicono: “Sono calze da puttana”. Poi immaginai un’altra scena ancora, dove uno di questi ragazzetti fa un pensiero: che tantissime api assalgono le calze e le pungono, con tutte le punture che entrano.

Queste sono le vecchie carceri del mio paese arabo, e io da ragazzetto avrei voluto finirci dentro, e non so il perché …

 

Una volta vidi un’araba urinare in una pentola, e sentii il bisogno di filmarla. Poi arrivò un signore che sentì il bisogno di mettere le mani nella pentola e lo filmai ugualmente.

 

Mohammed quando non lavora si siede e pensa a un ragazzetto che non esiste, e questo lo rilassa. Ecco, questo è il ragazzetto (si visualizza un ragazzetto arabo).

Tripoli 1967. Nel cantiere il capocantiere si stava toccando nel suo ufficetto, quando gli dissero che il cane era morto. Ora un operaio arabo ha seppellito il cane. E al capocantiere prese la malinconia.

Un arabo era su di una panca e un ragazzetto gli urlava: “Sei vecchio! Sei vecchio!” . Il vecchio arabo lo uccise. E lo seppellì tra due ombre. Ogni tanto lo andava a trovare … si! A trovare … anche con il vento e con la pioggia, dicendogli: “ Con il tuo corpo avresti fatto felici le ragazzette. E povera la tua mamma, che pensava per te una vita da re.”

Lei era arrivata in occidente dal suo paese arabo, dove alle bambine viene tolta una parte del loro corpo. Ma la sua famiglia non aveva seguito questa tradizione. Ora lei è grande e si è laureata, ma vuole rientrare nella tradizione, per la quale si chiama un barbiere che opera il taglio. Ecco il barbiere. Ora lei si riposa.

E ricordo un’anziana che sognava il marito morto da anni, che camminava sempre in uno sterrato. Sognarlo le sembrava naturale, ma si chiedeva come mai sempre nello stesso sterrato. Lei se lo chiedeva sempre.

In questa fotografia invece vediamo quell’anziano arabo che conduceva sempre una sua parente legata ad una corda, consenziente. Qualcuno diceva che fosse per non perdersi. Ogni tanto passavano, poi non li vedevi più.

1150 a.c. -  Un uomo viveva in un buco e dei ragazzetti giocavano sempre davanti al buco, deridendolo: “Sei strano! Sei strano!” Poi l’uomo ne risucchiò uno. Sii, così! Questi che credono di essere sazi della locanda e del mercato … spellalo! Spellalo!

Un primo pomeriggio pensai d’essere nel dormitorio del collegio, e mi calavo in una fessura, attraverso la quale uscivo in una piazza nell’ottocento, dove assistevo alla mia esecuzione. Come spero accada a tutti i collegiali, in quanto qualunque cosa possano fare da adulti rimarranno sempre quelli che nel cortile impiccavano le lucertole, perché testimoni di un abbandono – tradimento familiare. E mentre stavo sul patibolo pensai anche ad una storia del secolo scorso, che comincia un mattino, quando il bidello del collegio si sveglia, e vede da una finestrella galleggiare  nel lavatoio la testa della sua figliola, di anni 15. E resta alla finestrella. Arriva il comandante delle guardie, e si sente una voce: -Eccellenza! Eccellenza, venga! Le parlo da fessura … s’approssimi alla fessura e ascorti. So stati li collegiali a facere l’assassinio, in quanto loro tutti l’amavano. E mai si ni poteva asceglie uno che solo ca’ diventasse er marito, ch’eran troppi p’amà una sola.

Il comandante si approssima all’uscita: -E mo’, in do’ vado? Nu lo so. Ma so che giammai poserei ‘no filio meo in collegio.

Poi giunse un principe della Chiesa: -E ie, che mai avvedo femine, vedendo chesta in nell’acqua, la desidero como filiola, da condurre al mare in d’agosto a fa er bagno e a magnà lo coccommero, e mo te binidico.

E la benedì tante, tante e tante volte, al di là della regola liturgica, per non staccarsi da lei.

E in ultimo parlò lei: -E i’ su cuntenta d’esse affocata, pirchè mo galleggio. E’ como arriturnata ner ventre de mamma. E quanti m’hanno che assassinata, l’ereno proprio che belli, e che nun li catturino … spero!

Dall’alto della terrazza si sente la voce d’un frère anziano: -Affortuna che noi stamo che sulle terrazze, luntani!

Altra voce di frère anziano: -Si, ma assarebbe bellu cascà de sotto!

 

E mi ricordo la notte in cui morì la madre del signor Umberto, e lui sognò di essere nella Roma imperiale, e di poterla seppellire nel proprio orto, come a quel tempo era consentito. E questo lo rendeva sereno nel sonno.

 

Stavo sognando di quella distesa dove c’era una volta la ricostruzione abbandonata della chiesa del Popolo, con la porta e le mura, che io da ragazzetto incendiai per alcuni miei bisogni.

 

Aula di giustizia.  Questo è un criminale di guerra al suo processo. E quest’altro è la sua vittima.

Criminale: -La nostra gioventù, eh?

Vittima: -Si, la nostra gioventù.

C: -Fortuna che c’è il processo per ricordare …

V: - Si, fortuna che c’è!

 

In un lontano agosto, nel cortile d’una parrocchia periferica, c’era un uomo che prendeva il sole senza la camicia. Viene un prete e gli dice: “Ma questa è una parrocchia!” . E l’uomo si rimette la camicia.

 

In un circolo di bocce c’è un giovane vecchio. E il suo compagno seduto gli dice: “Tira! Tira!” Ma lui non tira. “Tra qualche giorno è natale e ci daremo i pacchetti al circolo. Ma poi, si dorme anche a natale”.

 

Sempre andavo col mio furgone e vidi una signora che si nascose in un portone, impaurita dai miei fari. Io credo che per lei la paura sia importante.

 

Quando ero ragazzetto facevo il presepe. Cominciavo ad agosto, quando si va al mare. Ora voglio costruire un cimitero finto. I materiali sono gli stessi.

 

E ricordo che sempre nel mio  paese arabo vidi sul fondale l’obitorio dell’ospedale. Entrai, aprii gli occhi ad un arabo e … erano viola!

E c’era una strada stretta, come una fessura. Eppure vi passava tanta gente. Ora in questo momento la vedete vuota, eppure vi passava sempre tanta gente. E tutti a chiedersi come mai.